LE ORIGINI
La storia della Partecipanza si identifica in quella della comunità di Villa Fontana.
La sua nascita e crescita è stata influenzata dalla posizione geografica, tra Ravenna e Bologna: la prima in declino dopo i fasti imperiali bizantini, la seconda in forte ascesa grazie alla sua incidenza sui commerci nella bassa pianura padana.
Non vi sono documenti o atti certi sulla nascita della Partecipanza. L’origine di questi istituti si fa generalmente risalire ad atti di concessione di terre da parte dei grandi feudatari della zona. Nel caso specifico di Villa Fontana, l’origine della Partecipanza si attribuisce ad una donazione, da parte della contessa Matilde di Canossa, di un possedimento chiamato Vallona, avvenuta nel 1112. Tale informazione ci perviene grazie ad un rogito del notaio carpigiano Tommaso Del Viscardo datato 1215, anche se tale documento non appare del tutto attendibile e viene considerato falso da molti storici. Risulta invece più probabile che il terreno in questione fosse il frutto di una concessione agli uomini di Villa Fontana da parte del Vescovo di Bologna, il quale era solito stipulare queste enfiteusi con lo scopo di promuovere la bonifica di vasti appezzamenti paludosi ed incolti, ottenendo in cambio appoggio militare delle popolazioni beneficiate.
Al contrario, troviamo un primo riferimento certo a Villa Fontana nell’editto di Federico I di Svevia (1155), intervenuto su richiesta del popolo medicinese per fronteggiare le mire espansionistiche della città di Bologna, che già aveva distrutto il castello di Medicina nel 1151. In tale decreto, Villa Fontana viene citata quale punto di riferimento per il confine a ovest di Medicina, confermando il fatto che già allora il paese doveva avere una certa importanza.
La nascita di Villa Fontana come comunità autonoma viene fatta risalire agli inizi del XIV secolo. In origine questi territori costituivano, infatti, una sola massa con quelli di Medicina, la quale rappresentava così una forte minaccia per la città di Bologna. Il 28 dicembre 1305 il Comune bolognese fece approvare un memoriale del capitano Ramberto De Ramberti nel quale si disponeva l’autorità di Villa Fontana su un vasto comprensorio a nord-est del castello medicinese. In questo modo si tolse a Medicina la metà del suo territorio ed un terzo della popolazione, con lo scopo evidente di abbatterne le velleità autonomistiche. Villa Fontana si manterrà autonoma per ben cinque secoli, fino ai rimaneggiamenti territoriali di età napoleonica.
I PRIMI STATUTI
I primi Statuti, con tutta probabilità consolidazioni di norme e usanze orali, risalgono al 1589. Essi trattano dell’ordinamento interno e della divisione dei beni, ma in modo non preciso; ciò indica che la vita della Comunità era ancora regolata da usanze e tradizioni.
Ai primi Capitoli fanno seguito quelli emanati dal Senato di Bologna nel 1619, dove sono indicate con maggior dettaglio le regole circa la divisione dei beni. Tale suddivisione agli aventi diritto avveniva attraverso la distribuzione quinquennale di quote (le “prese”) oppure con l’assegnazione di somme in denaro ricavate dall’affitto degli stessi terreni.
Lo sviluppo della vita comunale e la migliore fertilità della terra aumentarono negli anni l’attrattività di queste zone. Nacque così il sistema dell’incolato preventivo, già presente nei primi Statuti. Esso era un semplice strumento di tutela delle famiglie originarie nei confronti dei forestieri che avessero voluto entrare a far parte del gruppo dei partecipanti. Questi ultimi, per accedere alle quote di terreno, avrebbero dovuto abitare nel luogo per un determinato periodo di tempo e in modo continuativo. Per Villa Fontana il periodo di “incolato” fu fissato in venti anni, poi spostato a quaranta e successivamente riportato a vent’anni. Solo nel 1856 si giunse alla definitiva chiusura degli albi: fino a quella data a chiunque era data la possibilità, rispettando le condizioni fissate dai Capitoli (consuetudine dell’incolato e pagamento delle imposte), di diventare partecipante.
Dal 1760 ebbe inizio un nuovo sistema di divisione dei terreni e delle rendite. Tutta la tenuta Vallona venne affittata ed il canone annuo, detratte le spese di amministrazione, fu distribuito fra gli aventi diritto. Purtroppo, a causa della mancanza di atti e documenti precisi, non è stato possibile verificare i motivi che portarono a tale provvedimento.
L’OTTOCENTO E LE CONTESE CON MEDICINA
La discesa delle truppe napoleoniche nel 1796 travolse la comunità di Villa Fontana. Il territorio della provincia bolognese fu diviso in Cantoni e Medicina, capoluogo di uno di questi, riassorbì Villa Fontana, che cessò così di esistere come comunità autonoma. La Partecipanza, però, continuò ad operare quasi indisturbata, ottenendo addirittura lo svincolamento dei propri terreni dal Comune di Medicina (1803).
Ma la Rivoluzione Francese, pur essendo occasione per l’affermarsi della Partecipanza come ente autonomo e indipendente, si rivelò, a lungo andare, tremendamente deleteria. L’affermarsi del dogma della proprietà privata, prima nei domini pontifici e poi nel neonato regno d’Italia (1860), porteranno all’approvazione di leggi tendenti ad abolire i domini e le proprietà collettive.
I primi anni dell’Ottocento rappresentano un periodo tribolato. I partecipanti si vedono più volte sottratti i loro beni, che però riescono sempre a riottenere attraverso proteste e ricorsi. Tali dispute ebbero fine nel 1814, quando il Prefetto Isolani decise che la parte divisibile del patrimonio sarebbe spettata alla Partecipanza, mentre quella indivisibile sarebbe rimasta al comune di Medicina. I partecipanti non si accontentarono e chiesero la restituzione anche dei beni indivisibili, promettendo il pagamento annuale di una somma da convenire come contributo alle spese di interesse comune. La Prefettura prese in esame la richiesta e stabilì che, a partire dal 1° gennaio 1815, la Partecipanza di Villa Fontana fosse reintegrata nel possesso e nell’amministrazione del suo intero patrimonio, ottenendo così autonomia e indipendenza in cambio del pagamento di contributi annuali; i beni di Villa Fontana furono quindi definitivamente assegnati alla Partecipanza, la quale ricorse al suo vecchio Statuto del 1760 per regolamentare la sua amministrazione interna.
Ma il Comune di Medicina, privato di beni e rendite, cercò di riguadagnare qualcosa rivendicando il diritto di comproprietà sui beni indivisibili, ora appartenenti a Villa Fontana (1876). Dopo diverse cause tra le due amministrazioni, nel 1891 venne nuovamente ribadito, questa volta in maniera definitiva, il possesso di tali terreni da parte della Partecipanza.
L’EPOCA FASCISTA
In questo periodo il Governo prestava molte attenzioni all’ambito agrario poiché poteva garantire fonte di guadagno e prosperità per la popolazione italiana. Esso dunque operò in maniera mirata a far sì che ogni zona del territorio nazionale fosse sfruttata al massimo dal punto di vista agricolo.
Il provvedimento governativo che maggiormente interessava il mondo delle Partecipanze fu il D.L. n.751 del 22 maggio 1924 il quale istituiva il “Regio Commissario Regionale per la liquidazione degli usi civici per l’Emilia”, incaricato di relazionare sullo stato patrimoniale e culturale di ciascuna delle Partecipanze; se da tale relazione fosse emersa una condizione economica insufficiente, lo Stato avrebbe proceduto allo scioglimento dell’Ente.
Le diverse Partecipanze protestarono, cercando di dimostrare come, a causa della loro particolare fisionomia e natura, non dovessero essere incluse nelle disposizioni di legge. Tali rimostranze furono accolte e fu sospeso ogni provvedimento (1928): le Partecipanze ottennero così un primo importante riconoscimento da parte del Governo e a livello nazionale.
La situazione della Partecipanza di Villa Fontana era però leggermente differente. Col provvedimento del 1760 si era infatti deciso di non dividere più il terreno in quote, ma di affittarlo in toto e suddividere successivamente i guadagni dell’affitto. Questo rendeva la Partecipanza di Villa Fontana differente dalle altre, che ancora ricorrevano alla suddivisione e assegnazione delle quote, e dunque passibile di esclusione dal ricorso accolto nel 1928. In aggiunta a questo, la situazione economica era assai critica: gli elevati costi di bonifica dei terreni, il ridotto numero di affittuari e gli errati investimenti economici (vedi l’acquisto della tenuta “Tre Cascine”) avevano praticamente azzerato i profitti dell’Ente, che da qualche tempo (circa quarant’anni) non portava alcun beneficio ai Partecipanti.
Il Regio Commissario, valutata la situazione della Partecipanza villafontanese, ne ordinò quindi lo scioglimento. Puntando sul fatto che erano state compiute ingenti e dispendiose opere di bonifica, la Partecipanza tentò un ricorso straordinario al Re (7 dicembre 1930), insistendo sulla transitorietà di tale cattiva condizione finanziaria, dovuta al grande sforzo di bonifica. Il ricorso fu accolto (16 marzo 1931) e la Partecipanza poté continuare a vivere. Una particolare menzione a questo riguardo va all’opera infaticabile e decisiva dell’allora presidente, Cav. Gaetano Sarti, assistito dall’Avv. Giovanni Curis del foro di Roma.
A conferma di quanto indicato nel ricorso al Re, a partire dal 1931 si cominciarono a vedere i primi frutti dei sacrifici e delle rinunce di tanti anni: seppur con somme misere, si ricominciò la divisione annuale delle rendite, che aumentò in maniera considerevole negli anni successivi.
STORIA RECENTE
Dal 1951, dopo un periodo di affittanza abbastanza tribolata, si ritornò all’antico sistema di divisione dei terreni. Nell’Assemblea straordinaria dei Partecipanti tenutasi l’11 novembre di quell’anno, si stabiliva che ad ogni singolo avente diritto fosse assegnata, ogni dieci anni (e non più cinque), una quota di terreno (e non più una somma di denaro). La prima estrazione delle quote di terreno (314 di cui 70 a risaia) fu fatta il 7/9/1952.
L’8 giugno 1975, su delibera dell’Assemblea dei Partecipanti, si è provveduto a prolungare il tempo intercorrente tra una divisione e l’altra da dieci a diciotto anni, come richiesti dalla Legge Regionale.
L’ultima divisione dei terreni, ancora oggi in vigore, fu fatta il 28 maggio 2008, in quella circostanza la qualità di Partecipante è stata riconosciuta anche alle persone di sesso femminile, discendenti in linea retta maschile dalle originarie famiglie.